Il codice materno del potere, nella vita pubblica e nei sistemi di lavoro

di Maria Pia Fontana

 

Il testo di Ugo Morelli e Luca Mori, Il codice materno del potere. Autorità, partecipazione e democrazia (Edizioni ETS, 2013) arricchito dalla prefazione di Alfonso Maurizio Iacono e dalla postfazione di Carla Weber, presenta vari pregi. Innanzitutto affronta un tema originale e quanto mai attuale in un momento storico in cui da più parti si denuncia un crollo o un’evaporazione dell’autorità paterna, come con-causa della crisi educativa e della diffusa cultura del no-limits. Inoltre, ricostruisce e documenta, attingendo ad un vasto repertorio di riferimenti classici come anche di riflessioni sociologiche e filosofiche, gli esordi e i faticosi sviluppi di quella complessa, sublime e fragile invenzione politica che fu la democrazia. Il codice materno del potereLa tesi innovativa è che proprio la democrazia rappresenta la più felice integrazione del codice paterno, verticale e autoritario, e del codice materno, orizzontale e partecipato. “Perché mai si debba ritenere che solo un padre possa rappresentare l’interesse comune non è chiaro, né dimostrabile storicamente. Anzi, l’auctoritas può derivare da qualcosa di diverso del senso di colpa che accompagna la subordinazione al padre e dare vita a forme di potestas capaci di autofondarsi nella relazione orizzontale tra sorelle e fratelli, secondo un diritto basato sul codice materno, meno repressivo e più aperto al mutamento: quel codice materno che è anche dei padri, che è anche dei maschi, che pure lo tacitano e lo forcludono, fino a negarlo e a rimuoverlo (pag. 16)”. 
Partendo da questa premessa vengono esplorati i significati profondi sia del codice paterno che di quello materno, cominciando dalle suggestioni etimologiche di pater e mater, termini che non rinviano solo alla generatività biologica. La parola pater, infatti, si collega anche a potestas e a patria. Nella radice sanscrita pa sono inclusi il concetto di “proteggere” e anche quello di “nutrire”, da cui la correlazione con la figura del pastore e con il verbo greco pateomai, che significa nutrirsi, mentre paomai vuol dire “acquistare”, “avere”, “possedere”. Nella radice sanscrita ma di mater, invece, è inclusa l’idea del “misurare”, del “preparare”, del “mettere ordine” e del “distribuire”.
Il termine demokratia compare per la prima volta nelle Storie di Erodoto, scritte tra il 440 a.C. e il 429 a.C., per designare un nuovo modo per esercitare il potere pubblico, centrato sulla trasparenza delle leggi, sulla rotazione delle cariche e su una rielaborazione tra verticalità e orizzontalità. Del resto un potere che ambisce a governare quanto più a lungo possibile sa bene che non deve limitarsi a pratiche puramente repressive ma deve contemperare forme di promozione del corpo sociale ed aprirsi a qualche forma di “bellezza” e di valorizzazione della comunità. Emblematica in questo senso è la figura di Pericle che riesce ad abitare l’instabilità, apprendere dalla situazione del momento, alternando uno stile più accondiscendente nei confronti del popolo ad uno stile di governo più severo. Inoltre, la storia della democrazia e dei suoi sviluppi si intreccia indissolubilmente con la sua sfida maggiore, che è quella dell’educazione dei cittadini e dei politici. PERICLE
“Diventare effettivamente cittadini in una democrazia presuppone l’educazione e l’educazione diffusa dei cittadini comporta la ricerca dell’uguaglianza. Tale ricerca genera meno certezza per tutti: la certezza del resto alimenta il regno del totalitarismo, mentre l’incertezza accresce lo spazio per la nostalgia rivolta al codice del potere “paterno” che si prende cura dominando. Fragile è dunque la democrazia nella sua costitutiva ambiguità: ma in questo sta la sua principale forza, nella vulnerabilità che la rende plastica e capace di divenire insieme a coloro che, facendola, diventano uomini liberi (pag.32)”.
In particolare, la democrazia dovrebbe educare i cittadini ad elaborare insieme pubblicamente, attraverso conflitti generativi, la “tensione rinviante”, che li costituisce come esseri sospesi tra ciò che sono e ciò che potrebbero diventare immaginando mondi inediti o nuovi modi di abitare insieme la città. “La democrazia – quindi – è un programma inconcluso, come aveva intuito Pietro Calamandrei. Per questo motivo la Carta Costituzionale che regola la democrazia è per sua natura polemica (pag.40)”. Di fatto la democrazia non ha mantenuto le sue promesse, non solo perché non ha consentito una reale e diffusa partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, ma anche perché una partecipazione massiccia di per sé non è sinonimo di partecipazione attiva e consapevole. E’ risaputo, inoltre, come le democrazie parlamentari del primo novecento abbiano preparato il terreno alle derive cesariste e all’avvento dei totalitarismi.
Gli autori del testo si soffermano quindi sulla crisi delle democrazie contemporanee ricordando, come scrive R.Bodei, che il compito della democrazia “è interminabile in quanto regime imperfetto, non eroico, che è però l’unico perfettibile (pag. 49)”. La democrazia proprio perché consente una dialettica e un conflitto per la risoluzione di problemi che appaiono come situazioni incerte e confuse dovrebbe presupporre forme di educazione volte ad incrementare la capacità di formulare visioni diverse rispetto a quelle note, aumentando gli strumenti e le occasioni di partecipazione, pur sapendo che essa può comportare dei rischi demagogici e che il dialogo richiede la capacità di approssimarsi agli altri nelle “reciproche risonanze ed ambiguità”(pag.67).  In ogni caso i processi di partecipazione dovrebbero scalzare la logica del disfattismo e del non si può, ingenerando la speranza di agire insieme (quel sortire fuori dai problemi di cui parlava Don Milani) aumentando cioè le possibilità di cambiamento nonostante i limiti e le difficoltà che il presente pone. Talvolta la partecipazione dal basso viene tacitata dal potere verticale paterno per la paura che essa possa rappresentare una minaccia essendo più vicina alla percezione del limite propria del codice materno e alla possibilità di cambiare idea attraverso il confronto con altri punti di vista. Quando il conflitto si nega o si appiattisce sullo scontro, diviene impossibile prefigurare alternative all’esistente. Sebbene si tenda ad attribuire al codice paterno l’esercizio della leadership, nei fatti essa presenta un forte base affettiva e presuppone abilità e strategie di contenimento dell’altro, come anche di autolimitazione, unitamente alla capacità di essere generativi e di agire un ruolo promozionale.  Il vero leader, infatti, dovrebbe lavorare per la sua successione e per la crescita e per l’emancipazione dell’altro, sebbene sappiamo bene come la carica seduttiva e trainante della leadership sia spesso utilizzata da chi guida un gruppo sociale per perpetuare forme di dipendenza in funzione narcisistica.
Edipo ed Antigone di Charles F. Jalambert, 1764

Edipo ed Antigone di Charles F. Jalambert, 1764

Il testo approfondisce i concetti di vulnerabilità e di vivibilità nella società e si chiude con una significativa riflessione di Carla Weber sulla presenza delle donne nel mondo della scienza, che consente di interrogarsi non tanto su come i settori scientifici siano accessibili o meno alle donne, ma soprattutto su quanto le donne siano riuscite a modificare tali ambiti in termini di apporto originale e creativo e su quanto ancora ci sarebbe da fare. Se ancora oggi il “nodo gordiano” della presenza delle donne continua ad essere la maternità e si impone la tragic choice (secondo una definizione di Zamagni) di scegliere tra realizzare un’identità femminile ed autoescludersi dalla progressione di carriera sembra difficile trovare  organizzazioni di lavoro che sappiano integrare e valorizzare gli aspetti simbolici del paterno e del materno anche nell’esercizio delle funzioni di leadership. Ma dalla pratica riflessiva sul proprio ruolo e sulle proprie specificità di genere possono nascere lenti processi di cambiamento nei metodi di ricerca scientifica e nei sistemi di lavoro.

 

Scritto daMaria Pia Fontana

2 comments to “Il codice materno del potere, nella vita pubblica e nei sistemi di lavoro”
  1. Da questo bel saggio ,snello,essenziale e immediatamente diretto al cuore del problema che tratta,mi piace evidenziare proprio il “centro” della riflessione :il richiamo alla “orizzontalità” del codice del potere,”materno” basato non sull’acquiescenza e la sudditanza ma sul “mutamento”; concetto sociale molto ben richiamato nella descrizione della essenzailità della Democrazia,per sua natura imperfetta si sa, ma l’unica perfettibile.proprio perchè nella sua “vunerabilità” te è intrinsecamente creativa,rifiutando il dominio del “codice paterno” e la sua certezza,che però è inamoviblità sociale e soffocamento dell’eguaglianza,l’altra colonna che sostiene l’essenza della Democrazia.
    Questo “rifiuto” intellettuale di un codice autoritario di mera “potestas”,del “regno del totalitarismo” come viene espresso nel saggio, legato al potere del pater, mi riconduce ad una profonda riflessione di un grande maestro dello spirito moderno ,Antoine de Saint-Exupery,quando nella sua “lettera ad un ostaggio” dice della relazione “conflittuale”,con il dissimile da se:
    “..L’ordine per l’ordine castra l’uomo del suo potere essenziale, che è di trasformare il mondo e se stesso. Rifiuta le contraddizioni creatrici, distrugge ogni speranza di crescita, getta le fondamenta per sostituire per mille anni l’uomo con il robot di un formicaio.La vita crea l’ordine, ma l’ordine non crea la vita…”

    Ne discende quella magnifica espressione citata di Piero Calamndrei, della “incompiutezza” della Costituzione che non è un monumento al diritto positivo ma un “programma” vivo e “futuro” che alimenta la democrazia proprio per la sua “vulnerabilità” che la rende plastica e sempre al tempo presente delle mutazioni sociali.
    Infine ,il problema dell’educazione alla partecipazione ,anzi alla qualità della partecipazione mi sembra fondamentale ed è assai ben ripreso a partire dalla bellissima citazione di Don Milani (“sortire fuori dai problemi”) e al suo rigetto categorico dei “non si può” e viene efficacemete richiamato anche in funzione della possibilità che si realizzi una “ alternativa” all’esistente,e venga attuato il principio fondamentale della rinnovazione delle elites che assieme alla “trasparenza delle leggi “e all’equilibrio tra potere verticale e orizzontale connotano il termine Democrazia citato nel saggio da Erodoto.

    In fondo, è quel bellissimo “ abitare l’instabilità” riferito al grande Pericle che ci dice e ci rassicura che “governare” significa anche “generare”; una società di eguali,meno “certa” per tutti ma che che sola può favorire la promozione umana con la partecipazione di tutti; rifiuto del potere “tranquilizzante” totalitario e l’affermazione della dignità di cittadini e non di sudditi.

  2. Il commento è molto bello e denso di molteplici suggestioni. In particolare mi ha colpito l’accostamento dell’idea di governare con quella di generare. Anche se storia ci offre molti esempi di governo mortifero e castrante, sappiamo bene che quando la gestione della cosa pubblica non è feconda e generativa, il potere ha vita breve ed implode rovinosamente su sé stesso. L’educazione alla gestione del potere ed alla partecipazione e dialettica della vita politica è il nerbo su cui si regge l’impianto democratico. La crisi perdurante delle democrazie è soprattutto una crisi di educazione e di cultura democratica. L’enfasi sulla presunta possibilità di partecipazione connessa ai nuovi media (con tutte le suggestioni e le promesse contenute nell’immagine di una democrazia elettronica o digitale) si scontra miseramente con il vuoto educativo di questo momento storico. Quando il diritto di parola si tramuta in abuso, urlo, aggressione, mistificazione o falsità, e la piazza virtuale non è educata all’uso della ragione e della dialettica, le derive possono essere pericolosissime. La democrazia va quindi sempre incontro a nuove sfide, dilemmi, interrogativi che possano rendere questa costruzione fragile e complessa, duttile e plastica, capace di aderire alle trasformazioni sociali nello sforzo perenne di integrare in sé, pur proiettandole in una dimensione pubblica, tutte le qualità e le attitudini del codice maschile e di quello femminile. Quest’ultimo nei secoli è stato impropriamente confinato in una sfera “privata” e “domestica”, ma le sue implicazioni politiche sono evidenti, come il libro appunto dimostra. Grazie

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