di Maria Pia Fontana
Sono trascorsi all’incirca quarantacinque anni da quando Claudio Lolli in una canzone dedicata alla “vecchia e piccola” Borghesia stretta ai denari suoi (…) tratteggiava con amara perspicacia e con la precisione di un’analisi sociologica il profilo di una classe sociale in grado di amare ordine e disciplina e di adorare la “sua” polizia tranne nel caso in cui avesse dovuto indagare su un bilancio fallimentare. La stessa borghesia, infatti, si dimostrava capace di rubare con discrezione, meschinità e moderazione, alterando bilanci e conti, fatture e bolle di commissione, come anche di mentire con cortesia, cinismo e vigliaccheria ed era riuscita a fare dell’ipocrisia la sua formula di poesia. Con un salto di quasi mezzo secolo possiamo dire che, in un clima culturale e sociale profondamente mutato, ciò che contraddistingue un po’ tutte le declinazioni “borghesi”, dai livelli più bassi della piramide sociale a quelli più elevati, non è certo la moderazione o la prudenza nel rubare, considerato che la sfrontatezza nel malcostume è diventato un tratto generalizzato. Nel deficit di etica registrato in Italia negli ultimi decenni e reso visibile a partire dagli anni ’90, da quando cioè è esploso il bubbone di tangentopoli, ormai è decisamente l’onestà e non la corruzione o l’appropriazione indebita di denaro pubblico ad essere diventata una devianza che da scandalo.
Ecco perché Andrea Franzoso può permettersi di intitolare il suo saggio “Il disobbediente”, per intendere non chi trasgredisce la legge, ma chi la rispetta e la onora al punto da denunciare il presidente della sua azienda Ferrovie Nord Milano per aver utilizzato a fini personali denaro pubblico. Scrive Franzoso “sento la voglia di urlare con tutta l’aria che ho nei polmoni il mio dissenso etico. Sì, è ora di attuare la mia personale disobbedienza civile: non contro leggi inique ma contro un modo di agire e di pensare che sta avvelenando la nostra coscienza sociale. Qui è in gioco qualcosa di più grande: la mia vita, ciò che io sono, ciò che voglio essere”(pag. 60).
Le spese folli del presidente ai danni degli utenti di un servizio pubblico e di tutti i contribuenti diventano la cartina di tornasole del suo modus vivendi, della prodigalità incontenibile dei suoi acquisti, lo specchio fedele e impietoso dei suoi vizi (pocker on line, film porno) come anche dell’assoluta mancanza di autorevolezza e di presa educativa nei confronti dei figli, visto che uno di loro costa alle Ferrovie Nord Milano la bellezza di 180.000 euro di multe riportate utilizzando l’auto aziendale.
In questo scenario, Andrea, funzionario dell’Internal audit, cerca prima di attivare correttivi interni all’azienda e poi, vista la sostanziale volontà degli organi di controllo di insabbiare le irregolarità, decide di presentare a suo nome un esposto ai carabinieri. L’inchiostro della firma è per lui “caldo come il sangue. In quella firma ci sono io tutto intero. Quella firma sono io. E’ fatta. Il cuore mi batte forte: sono consapevole che la mia carriera è finita” (pag. 64). Di fatto la premonizione del disobbediente si rivelerà fondata. L’esposto sarà l’inizio di una lenta e progressiva marginalizzazione all’interno dell’azienda, attuata prima con un trasferimento di Andrea in un altro servizio creato ad hoc e poi con il sostanziale esautoramento di funzioni che lo indurrà a lasciare il posto di lavoro dopo aver avviato una complessa battaglia legale.
Questa storia bene evidenzia la solitudine della scelta di Andrea, inizialmente contestato anche dai suoi stessi genitori, preoccupati per le possibili ritorsioni innescate dal suo gesto. Anche i colleghi, ad eccezione dell’amico Luigi Nocerino, fanno terra bruciata intorno a chi viene sempre più frequentemente definito come “un traditore”. Emerge una massa informe e viscida di collusi impantanati in un’omertà che si nutre di calcolo utilitaristico, ma anche di ignavia, codardia o semplice disinteresse. Complesso risulta il rapporto tra Andrea e il presidente del collegio sindacale dell’azienda Carlo Alberto Belloni, una via di mezzo tra un politicante navigato e brillante che riesce a stare sempre a galla tra favori, regali e ricatti (pag. 78) e un patetico drogato di potere, incapace di coltivare legami disinteressati e veri.
Fanno da sfondo alla vicenda di Andrea, grandi personaggi della storia, dalla nobile e coraggiosa Antigone a David Thoreau, il papà della disobbedienza civile in America, con la loro carica dirompente e il loro invito a farsi avanti e a rompere l’automatismo dell’acquiescenza nei confronti di leggi o di imposizioni inique, perché, come scrive Thoerau “non importa quanto minuscolo sembri l’esordio: quando è ben fatto, una volta fatto è per sempre”. E la responsabilità di segnare l’avvio di un processo grava sempre su qualcuno. E’ facile essere gregari, anche nel bene, ma occorre che qualcuno si intesti l’onere di capitanare la fila per fare in modo che altri lo possano seguire e si possano sentire rincuorati dal suo esempio. E in questo Andrea si pone naturalmente come modello. Non è un caso che abbia ricevuto diverse attestazioni di stima e di ringraziamento da parte di sconosciuti alla ricerca di verità, bellezza, gioia di vivere, giustizia e speranza. E se il suo libro-testimonianza fosse servito anche ad una sola persona a credere che l’onestà è sempre possibile, anche quando ci sentiamo bloccati da strettoie e oppressi da un andazzo di condivisa malversazione, non sarebbe stato scritto invano.
C’è da sperare che la recente legge di protezione dei whistleblowers (letteralmente significa “suonatore di fischietto”, cioè colui che segnala un’irregolarità) che integra la normativa sulla tutela dei lavoratori del settore pubblico che denunciano illeciti ed introduce forme di tutela anche per i lavoratori del settore privato, possa migliorare la situazione dei vari Andrea Franzoso, anche se non tutti gli aspetti controversi della materia sono stati regolati e chiariti. In qualche modo il processo culturale e normativo teso a risollevare le sorti dell’Italia, che nell’immaginario comune anche all’estero è considerata il paese dei corrotti e dei furbi, è positivamente avviato.
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La recensione coglie molto bene ,quanto immediatamente, l’essenza del libro di Franzoso,ma ancor di più coglie l’essenza,individua la parola portante,della “storia” di Andrea: la consapevolezza,anzi la coscienza della Responsabilità .
Verso se stessi,ma ancora di più verso gli altri,il dovere morale di considerare di tenere conto degli “altri” come Società civile e come contesto di relazioni di Bene e di “virtù” civili e morali. Quello che una volta – e oggi sempre meno – si chiamava “Esempio”. Per potersi specchiare nella propria immagine e riconoscere quel volto e leggere la Firma della propria identità in calce al documento finale della Vita.
Ne valeva la pena,dunque.
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