di Maria Pia Fontana
Dal Taccuino degli appunti apprendiamo delle importanti notizie sulla genesi dell’opera. Non è chiaro quale fu l’evento seme cioè l’intuizione che colse Marguerite e dalla quale sprigionò il progetto ardito di scrivere un romanzo su un uomo vissuto nel II secolo dopo Cristo. Alla base di ogni invenzione di norma c’è infatti un episodio che può fungere come attivatore di visione, sebbene spesso esso maturi all’interno di una cornice o di un percorso preparato dal tempo, dalle esperienze o dallo studio. Forse per Marguerite fu la frase folgorante di Flaubert che evocava la straordinarietà della vita di Adriano (“Quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo”). Oppure, forse l’evento che ispirò il romanzo fu la fascinazione subita dalla Yourcenar dopo aver letto le parole scritte dallo stesso imperatore che, non a caso, segnano l’inizio e la fine del romanzo:
Anima vagula, blandula/hospes comeque corporis/quae nunc abibis in loca/Pallidula, rigida, nudula, Nec, ut soles, dabis iocos…(Piccola anima smarrita e soave, ospite e compagna del corpo che ora ti appresti a scendere nei luoghi incolori, freddi, spogli, mai più ti abbandonerai ai giochi preferiti…). E’ presumibile che Marguerite trasse la sua ispirazione da una serie di stimoli collegati, suggestioni di viaggi o di letture. Ricordiamo che la scrittrice già da bambina aveva manifestato una spiccata predilezione per gli studi classici e una straordinaria capacità di apprendimento.
Va comunque evidenziato la stesura delle Memorie di Adriano ebbe un periodo di incubazione e di lavorazione durato più di venti anni. Le prime versioni, poi distrutte, risalgono a quando l’autrice era una ragazza poco più che ventenne, nel 1924, anno in cui, peraltro, visita per la prima volta la Villa Adriana a Roma, evento che certamente non poteva non colpire la sensibilità e la fervida immaginazione di Marguerite. Successivamente il lavoro di scrittura viene ripreso ed interrotto più volte tra il 1934-1937.
I fatti biografici di questi anni sono noti e si intrecciano con le vicende storiche. Nel 1937 la scrittrice incontra Grace Frick, un’insegnante di letteratura inglese, con la quale costruisce un rapporto sentimentale durato circa 40 anni. Dal Taccuino apprendiamo che per circa dieci anni, dal 1939 al 1948, Marguerite precipita “nella disperazione dello scrittore che non scrive”. Tuttavia, quella pausa e quell’interruzione nel processo di lavorazione viene definita necessaria dalla scrittrice: “ci voleva forse quella soluzione di continuità, quella frattura, quella notte dell’anima che tanti di noi hanno provato, ciascuno a suo modo in quegli anni e spesso in modo ben più tragico e definitivo di me, per costringermi al tentativo di colmare non solo la distanza che mi separava da Adriano, ma soprattutto quella che mi separava da me stessa” (pag. 285). La prima indicazione importante è, quindi, che non sempre la creatività sprigiona dall’effervescenza di una mente brillante, spensierata quanto immatura. Spesso richiede piuttosto che la vita sia vissuta e compresa, comporta la fatica dell’attraversamento di anni difficili, della perenne prova di sé alla pietra di paragone dei fatti, implica il superamento di esperienze di dolore e “la perpetua presenza o ricerca dell’amore” (pag. 284). Nel 1939 scoppia la seconda guerra mondiale e la scrittrice si trasferisce in America dove convive con Grace affrontando anni difficili di adattamento al nuovo contesto e sperimentando delle difficoltà economiche. Dal 1948 fino al 1951, dopo aver ritrovato gli appunti e i libri sui quali si era basata per le prime versioni del romanzo, Marguerite riprende con risolutezza la sua impresa fino alla pubblicazione. Il lavoro di scrittura viene condotto con la frenesia di chi sente l’urgenza e il richiamo imperioso di portare a termine un compito perentorio che solo lei può assolvere.
In altri passaggi la Youncenar rende merito al supporto emotivo e al contributo pratico di Grace, destinataria simbolica del romanzo, anche per il lavoro di paziente e puntigliosa revisione, senza mai compiacere o adulare Marguerite, ma costringendola piuttosto ad essere pienamente sé stessa, cioè a dimostrare l’eccellenza di cui era capace. Viene da chiedersi se l’artista o la persona di genio necessita o meno di un sostegno affettivo per esprimere al meglio la sua creatività. Sicuramente condizioni ambientali favorevoli, come stimoli culturali, esperienze e relazioni emotivamente intense, possono far fiorire slanci di creatività incoraggiando l’artista a produrre visioni inedite ed originali del mondo, mentre il supporto affettivo può consentire di trovare una maggiore sicurezza e coraggio nell’espressione delle proprie potenzialità. La grandezza di Marguerite e del suo capolavoro letterario poggiano quindi su doti personali di straordinaria cultura, sensibilità, immaginazione e su qualità morali come coraggio, sicurezza, forza d’animo ed anticonformismo unitamente ad un certo riconoscimento e supporto sociale, almeno nelle relazioni più significative per la scrittrice. La conquista della propria realizzazione e libera espressione comportò probabilmente alla Youcenar un prezzo alto da pagare, anche perché si trovò a vivere in un contesto storico e culturale ancora poco favorevole all’emancipazione delle donne, specie se vivevano liberamente il proprio diverso orientamento sessuale. Marguerite trovò il coraggio di osare e di credere in se stessa ed ebbe la fortuna di avere accanto qualcuno capace di riconoscere il suo talento e di sostenerla. Il capolavoro di immaginazione e disciplina che sprigionò dal felice connubio tra fattori personali e ambientali continua ancora oggi ad aprire varchi di bellezza e stupore e ci mostra la natura complessa dei molteplici e diversi fattori della creatività.
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