Indagare la creatività attraverso l’anatomia di un capolavoro. Il caso di Marguerite Yourcenar

di Maria Pia Fontana

Non di tutti i capolavori dell’arte o della letteratura possiamo conoscere ed analizzare il processo creativo. Il più delle volte esso resta avvolto nel mistero e in quell’aurea di ammirazione e di fascino irraggiungibile che avvolge l’autore dell’opera di genio. In qualche caso, invece, è lo stesso artista o inventore a rivelarci la genesi della sua produzione e il metodo utilizzato da una mente creativa al lavoro. Uno straordinario esempio di tale testimonianza lo troviamo nei Taccuini degli appunti, che Marguerite Yourcenar fece includere alla fine dell’edizione Einaudi del 1963 del suo romanzo più famoso,  Memorie di Adriano. Come è noto, la narrazione ricostruisce la vita dell’imperatore Adriano sotto la forma di una lunga lettera che egli rivolge al nipote diciassettenne Marco Aurelio, nel momento in cui si approssima alla morte e sente il bisogno di fare un bilancio autentico del suo percorso esistenziale. L’uso della prima persona e di un linguaggio a confine tra la prosa e la poesia ci restituisce il ritratto struggente di un uomo che conosce la durezza delle guerre di conquista e le trame del potere, pur lasciando che il suo spirito venga ingentilito ed educato dalla cultura greca, e che sa accettare il rischio estremo dell’amore per il giovane Antinoo, che morirà tragicamente per cause oscure. Nello scandagliare il bilancio esistenziale di Adriano, ricostruiamo la sua tenace ricerca del piacere e della bellezza in tutte le sue forme e manifestazioni, il potere, il lusso, l’appagamento dei sensi e il godimento dell’intelletto, e non possiamo non restare colpiti dalla maestria di un linguaggio che si fa scavo interiore ma anche filosofia, lirica, specchio di un anima melanconica come anche crepuscolo di un’epoca storica e strumento per scandagliare le passioni dell’umanità intera. Ciò che rende l’opera letteraria un capolavoro sono sicuramente la padronanza della scrittura, densa di metafore e immagini evocative, nonché la finezza psicologica della voce narrante dell’imperatore-Yourcenar, nel tratteggiare le intime sfumature e le segrete contraddizioni del cuore, pure quando è animato da un sentimento nobile e maestoso come l’amore.

Adriano e Antinoo

Dal Taccuino degli appunti apprendiamo delle importanti  notizie sulla genesi dell’opera. Non è chiaro quale fu l’evento seme cioè l’intuizione che colse Marguerite e dalla quale sprigionò il progetto ardito di scrivere un romanzo su un uomo vissuto nel II secolo dopo Cristo. Alla base di ogni invenzione di norma c’è infatti un episodio che può fungere come attivatore di visione, sebbene spesso esso maturi all’interno di una cornice o di un percorso preparato dal tempo, dalle esperienze o dallo studio. Forse per Marguerite fu la frase folgorante di Flaubert che evocava la straordinarietà della vita di Adriano (“Quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo”). Oppure, forse l’evento che ispirò il romanzo fu la fascinazione subita dalla Yourcenar dopo aver letto le parole scritte dallo stesso imperatore che, non a caso, segnano l’inizio e la fine del romanzo:

Anima vagula, blandula/hospes comeque corporis/quae nunc  abibis in loca/Pallidula, rigida, nudula, Nec, ut soles, dabis iocos…(Piccola anima smarrita e soave, ospite e compagna del corpo che ora ti appresti a scendere nei luoghi incolori, freddi, spogli, mai più ti abbandonerai ai giochi preferiti…). E’ presumibile che Marguerite trasse la sua ispirazione da una serie di stimoli collegati, suggestioni di viaggi o di letture. Ricordiamo che la scrittrice già da bambina aveva manifestato una spiccata predilezione per gli studi classici e una straordinaria capacità di apprendimento.

Va comunque evidenziato la stesura delle Memorie di Adriano ebbe un periodo di incubazione e di lavorazione durato più di venti anni. Le prime versioni, poi distrutte, risalgono a quando l’autrice era una ragazza poco più che ventenne, nel 1924, anno in cui, peraltro, visita per la prima volta la Villa Adriana a Roma, evento che certamente non poteva non colpire la sensibilità e la fervida immaginazione di Marguerite. Successivamente il lavoro di scrittura viene ripreso ed interrotto più volte tra il 1934-1937.

Un’immagine giovanile di Marguerite Yourcenar (1903-1987)

I fatti biografici di questi anni sono noti e si intrecciano con le vicende storiche. Nel 1937 la scrittrice incontra Grace Frick, un’insegnante di letteratura inglese, con la quale costruisce un rapporto sentimentale durato circa 40 anni. Dal Taccuino apprendiamo che per circa dieci anni, dal 1939 al 1948, Marguerite precipita “nella disperazione dello scrittore che non scrive”. Tuttavia, quella pausa e quell’interruzione nel processo di lavorazione viene definita necessaria dalla scrittrice: “ci voleva forse quella soluzione di continuità, quella frattura, quella notte dell’anima che tanti di noi hanno provato, ciascuno a suo modo in quegli anni e spesso in modo ben più tragico e definitivo di me, per costringermi al tentativo di colmare non solo la distanza che mi separava da Adriano, ma soprattutto quella che mi separava da me stessa” (pag. 285). La prima indicazione importante è, quindi, che non sempre la creatività sprigiona dall’effervescenza di una mente brillante, spensierata quanto immatura. Spesso richiede piuttosto che la vita sia vissuta e compresa, comporta la fatica dell’attraversamento di anni difficili, della perenne prova di sé alla pietra di paragone dei fatti, implica il superamento di esperienze di dolore e “la perpetua presenza o ricerca dell’amore” (pag. 284). Nel 1939 scoppia la seconda guerra mondiale e la scrittrice si trasferisce in America dove convive con Grace affrontando anni difficili di adattamento al nuovo contesto e sperimentando delle difficoltà economiche. Dal 1948 fino al 1951, dopo aver ritrovato gli appunti e i libri sui quali si era basata per le prime versioni del romanzo, Marguerite riprende con risolutezza la sua impresa fino alla pubblicazione. Il lavoro di scrittura viene condotto con la frenesia di chi sente l’urgenza e il richiamo imperioso di portare a termine un compito perentorio che solo lei può assolvere.

Un’altra notazione significativa la troviamo nel metodo seguito dalla scrittrice per rifare dall’interno quello che gli archeologi del XIX secolo hanno rifatto dall’esterno. A questo proposito la Yourcenar scrive, “passo più rapidamente possibile su tre anni di ricerche, che interessano solo gli specialisti e sull’elaborazione di un metodo di delirio che può interessare soltanto i folli. E poi quest’ultima parola sa troppo di romanticismo; parliamo piuttosto di una partecipazione costante, la più chiaroveggente possibile, a ciò che fu. Un piede nell’erudizione, l’altro nella magia o più esattamente, e senza metafora, in quella magia simpatica che consiste nel trasferirsi con il pensiero nell’interiorità d’un altro” (pag. 287). Marguerite ci mostra una passione irrefrenabile impastata di rigore e di immaginazione. In particolare rileva la sua attenzione esecutiva, focalizzata e metodica nella consultazione di documenti e nelle ricostruzioni storiche così come nella ricerca di una forma stilistica perfetta, insieme alla capacità di trasfigurarsi per assumere i panni di Adriano, pensando e sentendo come l’imperatore. Emerge l’integrazione di facoltà cognitive diverse e per certi versi opposte, di logica ed intuizione, in una sorta di danza tra processi analitici e meccanismi inconsci.
A differenza dello stereotipo comunemente diffuso che la genialità si abbini alla sregolatezza, Marguerite ci mostra inoltre la sua ferrea capacità di autocontrollo e di applicazione nello studio preliminare, insieme alla facoltà di lasciare il pensiero libero di vagare con la fantasia per ricostruire l’interiorità e la quotidianità di Adriano. Anche il lavoro di scrittura, volto a tradurre e a comunicare le visioni dell’immaginazione, puntellati tuttavia da attendibili riscontri storici, richiede alla Yourcenar molta autodisciplina. Il daimon che muove la scrittrice la porta a vivere stati di flusso e di intensa concentrazione, in cui è totalmente immersa nel suo lavoro, e ciò le consente di accettare la fatica, che qualsiasi altra persona avrebbe considerato spropositata, come necessaria via maestra per la bellezza e per la precisione della creazione. Le regole del gioco sono “imparare tutto, leggere tutto, informarsi di tutto e, al tempo stesso, applicare al proprio fine gli esercizi di Ignazio di Loyola o il metodo dell’asceta indù che si estenua anni ed anni per mettere a fuoco con maggior precisione l’immagine che ha creato sotto le palpebre socchiuse” (pag. 289). In vari passaggi Marguerite descrive la sua frenesia, quasi una sorta di ossessione per il lavoro di scrittura. “Avevo preso l’abitudine di scrivere ogni notte quasi automaticamente il risultato di queste lunghe visioni provocate, durante le quali mi inserivo nell’intimità di un altro tempo (…) ma ogni mattina davo alle fiamme il lavoro notturno…”. Osserviamo la solitudine del lavoro della scrittura, che, come ogni creazione richiede momenti di connessione intima con sé stessi, ed intravediamo il rovello delle stesure e delle estenuanti limature del testo. “Fare del proprio meglio. Rifare. Ritoccare impercettibilmente ancora questo ritocco correggendo le mie opere –diceva Yeats– correggo me stesso”(pag. 299).

Marguerite Yourcenar e Grace Frick

In altri passaggi la Youncenar rende merito al supporto emotivo e al contributo pratico di Grace, destinataria simbolica del romanzo, anche per il lavoro di paziente e puntigliosa revisione, senza mai compiacere o adulare Marguerite, ma costringendola piuttosto ad essere pienamente sé stessa, cioè a dimostrare l’eccellenza di cui era capace.  Viene da chiedersi se l’artista o la persona di genio necessita o meno di un sostegno affettivo per esprimere al meglio la sua creatività. Sicuramente condizioni ambientali favorevoli, come stimoli culturali, esperienze e relazioni emotivamente intense, possono far fiorire slanci di creatività incoraggiando l’artista a produrre visioni inedite ed originali del mondo, mentre il supporto affettivo può consentire di trovare una maggiore sicurezza e coraggio nell’espressione delle proprie potenzialità. La grandezza di Marguerite e del suo capolavoro letterario poggiano quindi su doti personali di straordinaria cultura, sensibilità, immaginazione e su qualità morali come coraggio, sicurezza, forza d’animo ed anticonformismo unitamente ad un certo riconoscimento e supporto sociale, almeno nelle relazioni più significative per la scrittrice. La conquista della propria realizzazione e libera espressione comportò probabilmente alla Youcenar un prezzo alto da pagare, anche perché si trovò a vivere in un contesto storico e culturale ancora poco favorevole all’emancipazione delle donne, specie se vivevano liberamente il proprio diverso orientamento sessuale. Marguerite trovò il coraggio di osare e di credere in se stessa ed ebbe la fortuna di avere accanto qualcuno capace di riconoscere il suo talento e di sostenerla. Il capolavoro di immaginazione e disciplina che sprigionò dal felice connubio tra fattori personali e ambientali continua ancora oggi ad aprire varchi di bellezza e stupore e ci mostra la natura complessa dei molteplici e diversi fattori della creatività.

 

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Scritto daMaria Pia Fontana

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